Partirei intanto da una definizione, sì da capire di cosa si sta parlando: le obbligazioni sono titoli di debito rilasciati da Enti diversi, come imprese, Stati sovrani, Pubbliche Amministrazioni ed organizzazioni internazionali, e che servono loro per finanziarsi. Dall’altra parte, nella prospettiva dell’investitore, esse costituiscono titoli di credito che conferiscono il diritto di percepire, secondo la modalità fissata gli interessi, e una volta raggiunta la scadenza, la restituzione del capitale nominale.
Le obbligazioni si classificano poi in base al saggio d’interesse, che può essere fisso, ovvero con interessi predefiniti e concordati tra emittente ed investitore, o variabile, con interessi che varieranno a seconda delle fluttuazioni dei mercati. In Italia si registra una preferenza per gli interessi rientranti nella prima categoria, ciò in quanto garantiscono la sicurezza e la prevedibilità dei flussi e dei rendimenti.
È bene anche ricordare che le obbligazioni non prevedono solo rendimenti, ma anche il c.d. capital gain: con tale termine, tradotto in italiano come “guadagno in conto capitale”, si indica la differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto, esso sostanzialmente rappresenta il guadagno conseguito dall’investitore, almeno quando di segno positivo (plusvalenza).
Dal punto di vista dei rischi poi, le obbligazioni sono meno rischiose delle azioni perché con l’acquisto delle prime si presta denaro, al contrario nell’azionario si comprano quote di partecipazione di un’azienda, tradotto: con le azioni si guadagna se l’impresa va bene (ossia se stacca un dividendo e/o il suo valore cresce), mentre le obbligazioni garantiscono comunque il rimborso del prestito più un interesse, e se poi l’impresa dovesse fallire gli obbligazionisti hanno diritto al rimborso in base a quanto rimane all’azienda, gli azionisti no.