Cambia la politica, ma non cambiano le borse

Ciò che è successo negli ultimi mesi a livello politico, non solo nazionale ma anche mondiale, sembra aver sconvolto l’opinione pubblica ma non i mercati. Perché?

 

Prendiamo ad esempio le ultime vicende in tema Brexit: a leggere notizie e commenti ci si può fare l’idea di un Paese con il parlamento sospeso, di una sorta di colpo di stato morbido, di maggioranze parlamentari che collassano, di elezioni anticipate che non si riescono nemmeno a indire… ma quanto alla Borsa di Londra, la perdita degli ultimi 12 mesi segna uno striminzito 1.7%.

 

Come è possibile che, in dodici mesi in cui si è passati da una narrazione di ampia crescita generalizzata a una completamente diversa di rischi seri di recessione (peraltro ormai conclamata e globale nel manifatturiero), le borse siano allo stesso livello? La risposta sta nei tassi, scesi drammaticamente ovunque: i tassi, non le Brexit o le guerre commerciali, sono il vero fattore decisivo. E continueranno a esserlo fino alla metà dell’anno prossimo, quando un altro fattore, le elezioni americane, prenderà il loro posto.

 

La scorsa settimana i mercati finanziari hanno infatti passato quasi indenni gli ostacoli sparsi sui listini: i segni di un rallentamento economico globale, le tensioni sui dazi tra Cina e Stati Uniti e gli inciampi politici in diverse aree geografiche, dall’Italia all’Inghilterra, all’Argentina.

 

A sostenere le azioni e, soprattutto, le obbligazioni hanno contribuito ancora una volta le aspettative di manovre espansive delle Banche Centrali. Un sintomo di quanto ancora gli investitori siano cauti, ma pronti a rientrare sulle attività a rischio come le azioni; azionario e tassi mostrano una certa capacità di resistenza ad imprevisti negativi e reagiscono prontamente a quelli positivi.

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