Quanto aumentare la propria propensione al rischio?

Era ancora ottobre dello scorso anno quando l’opinione sul futuro dell’economia globale risultava divisa: solo il 26% degli investitori si aspettava un’accelerazione dello slancio economico globale nei successivi mesi, il 39% prevedeva un rallentamento e il 57% degli investitori accettava l’idea di doversi assumere maggiori rischi per garantire i rendimenti.

Comunque, dati incoraggianti, soprattutto se confrontati ai risultati dell’anno precedente, dove solo il 32% prevedeva una crescita della propensione al rischio e il 48% una diminuzione. Il 2020 si presentava del resto ricco di incognite, ma le previsioni di mercato già rivelavano una forte dose di ottimismo.

E oggi che il 2020 è arrivato? Sembra che i mercati azionari abbiano iniziato il nuovo anno sulla falsariga di quello precedente, confermando il trend positivo in atto da alcuni mesi, trascinati dai continui record fissati dai principali indici azionari statunitense. Nonostante lo scontro Usa-Iran di cui ho fatto cenno nel precedente post, l’avversione al rischio ha avuto vita breve, le incertezze geopolitiche degli scorsi mesi hanno avuto un forte impatto sugli investitori: il parlamento britannico ha ratificato l’accordo sulla Brexit, le possibilità di un accordo commerciale di “fase 1” tra Stati Uniti e Cina sono aumentate trovando conferma nella firma del documento nei giorni scorsi. Inoltre, le Banche Centrali hanno mantenuto le proprie politiche monetarie espansive.

Secondo l’ultimo sondaggio dell’American Association of Individual Investors (AAII) infatti, il numero medio di “orsi” (gli investitori che si posizionano per trarre profitto dai ribassi) per un dato mese si è quasi dimezzato.

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