La protezione dai disastri climatici non è più rimandabile

L’Italia è la secondo posto tra i Paesi con impatto economico maggiore per via dei disastri climatici: oltre ai costi crescenti che il nostro Paese deve sostenere, la maggior parte delle famiglie italiane non sembra avere la giusta consapevolezza dei rischi economici, su persone e cose, che la crisi climatica può generare.

I disastri climatici si ripetono con una frequenza inquietante: diventa ormai riduttivo e fuorviante parlare di “maltempo” e di eventi atmosferici “straordinari”. Non c’è niente di eccezionale e di insolito in qualcosa che si materializza con impressionante regolarità. I numeri lo dicono con chiarezza e ci devono far riflettere sulle azioni che ciascuno può intraprendere per contrastare gli effetti dannosi che scaturiscono da queste situazioni, soprattutto dal punto di vista della tutela del proprio patrimonio.

Analizzando la situazione italiana, secondo i dati dell’osservatorio di Legambiente, l’incremento di disastri atmosferici in Italia è sensibile negli ultimi dieci anni.
In particolare, secondo un rapporto della European Environmental Agency (EEA, l’Agenzia europea dell’ambiente) i disastri climatici più dannosi restano gli eventi idrologici, che pesano per il 44% del totale.

A quantificare i risvolti economici derivanti dagli eventi climatici estremi viene in soccorso sempre la EEA, la quale stima in 446 miliardi di euro i danni provocati nel periodo 1980-2020 in tutta Europa: significa una perdita annua media di oltre 11 miliardi.
L’Italia è al secondo posto (dietro la Germania) della classifica dei Paesi con impatto economico maggiore per via dei disastri climatici: nello stesso orizzonte temporale, il nostro Paese ha sostenuto un costo derivante dagli eventi climatici quantificato in 72,5 miliardi di euro.

E aldilà dei numeri, c’è un aspetto in particolare su cui occorre riflettere: le famiglie italiane non hanno la minima consapevolezza dei rischi crescenti che questi eventi generano per persone e cose, soprattutto a livello economico, o non agiscono.
Appurato l’aumento della frequenza e dell’intensità dei disastri climatici, non sembra esserci una presa di coscienza tale che porti persone e cose ad essere maggiormente protette, coperte, assicurate.

Nonostante la casa sia il principale asset presente nel patrimonio delle famiglie italiane, quello per cui si investe una parte importante del proprio patrimonio, gli immobili che in Italia sono coperti anche soltanto da un’assicurazione “basica” sono molto pochi. Secondo ANIA (Rapporto “L’assicurazione in Italia, 2020-2021”), le abitazioni assicurate contro l’incendio sono 15,7 milioni, pari al 50,2% del totale. Una su due.

Ciò che più colpisce è, soprattutto, la forte eterogeneità nella distribuzione territoriale della copertura: al Nord la quota di abitazioni assicurate è mediamente del 70%, nel Centro Italia scende intorno al 50%, mentre nel Mezzogiorno – con l’eccezione di alcune province – la percentuale non supera il 25%, ma in molte zone si scende anche sotto al 15%.

Se poi consideriamo l’estensione della copertura alle conseguenze derivanti dalle catastrofi naturali, i dati sono ancora più bassi.
In un Paese dove, sempre secondo ANIA, 3 abitazioni su 4 sono esposte ad un significativo rischio idrogeologico, solo il 5% gode di una protezione nei confronti di eventi climatici estremi.

Dai tragici eventi distruttivi ai quali sempre più spesso assistiamo impotenti non c’è niente da salvare. C’è però una convinzione dalla quale ripartire: la protezione non è più una questione rimandabile.

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