TFR: tutto quello che c’è da sapere

Acronimo che tutti noi abbiamo sentito nella nostra vita lavorativa. Ma cosa significa esattamente e perché è così importante conoscerne ogni aspetto?

Il TFR (trattamento di fine rapporto) è una forma di compenso differito (liquidazione) che spetta ad ogni dipendente nel momento in cui termina il rapporto con un datore di lavoro.

L’accantonamento viene effettuato direttamente dall’azienda ed è pari al 7,41 % del reddito annuo lordo. Questa percentuale è così articolata:

– 6,91%: accantonamento del TFR
– 0,50%: percentuale che va al fondo garanzia INPS; si tratta di un contributo con finalità mutualistiche (questo fondo dell’INPS interviene per pagare il TFR al lavoratore in sostituzione dell’azienda in caso di insolvenza di quest’ultima).

Il TFR può essere destinato all’azienda per cui si lavora o ad una forma di previdenza complementare e, in base alle proprie scelte, viene applicata una specifica regolamentazione. Ogni dipendente ha tempo sei mesi dall’assunzione per decidere la destinazione del proprio TFR maturando. Se nei sei mesi il lavoratore non esplicita la destinazione del TFR, scatta il cosiddetto silenzio – assenso in base al quale il TFR viene automaticamente destinato ad una forma di previdenza complementare. In ogni caso, con il silenzio – assenso, il TFR viene versato nella linea di investimento più prudente.

Il TFR mantenuto in azienda è disciplinato dall’art. 2120 del Codice civile; invece, la disciplina di riferimento del TFR destinato alla previdenza complementare è il d. lgs. 252/05.
Se si decide di lasciare il TFR in azienda, l’importo, per legge, è soggetto ad una rivalutazione, operata dal datore di lavoro al 31 dicembre di ogni anno su base composta e così suddivisa:

– una quota fissa pari all’1,5%
– una quota variabile pari al 75% della rivalutazione dei prezzi accertata dall’INPS rispetto all’anno precedente.

Al dipendente spetta comunque un rendimento minimo garantito anche nel caso in cui non ci fosse inflazione. Se questo aspetto, con tassi di inflazione elevati, è sicuramente positivo per il lavoratore, per il datore di lavoro, che si trova ad applicare tassi elevati, è un peso.

Tuttavia, il dipendente non deve lasciarsi “ingannare” da un solo anno, ma dovrebbe osservare la remunerazione su un orizzonte temporale medio – lungo.

Nel caso del TFR in azienda, il lavoratore ha diritto a richiedere l’anticipazione del trattamento di fine rapporto una sola volta per ogni rapporto di lavoro, ma a patto che siano trascorsi 8 anni di lavoro. Inoltre, può essere richiesto al massimo il 70% della posizione per i seguenti motivi:

– spese mediche straordinarie
– acquisto o ristrutturazione della prima casa per sé o per i figli
– congedi parentali o formativi

Un elemento di assoluta attenzione, disciplinato dall’art. 2120 del Codice civile, è che l’azienda è tenuta ad evadere la richiesta nel limite del 10% degli aventi diritto e comunque nel limite del 4% del numero dei dipendenti. Questo significa che in un’azienda con meno di 25 dipendenti, il lavoratore non è sicuro di poter richiedere l’anticipazione del TFR.

Altro aspetto molto importante è la tassazione prevista per il TFR lasciato in azienda. Si tratta di una tassazione molto pesante:

– sui rendimenti è pari al 17%
– sull’accantonamento vero e proprio viene invece applicato il regime di tassazione separata: in questo caso, c’è un’aliquota media calcolata tenendo conto del numero di anni di lavoro e delle aliquote IRPEF relative agli anni di servizio.

Tuttavia, l’agenzia delle entrate interviene ricalcolando l’imposta prendendo in considerazione l’aliquota media delle dichiarazioni fiscali del lavoratore negli ultimi 5 anni: in sostanza, è questa la vera tassazione sul TFR.

Solo i lavoratori che fanno parte di un’azienda con meno di 50 lavoratori possono decidere di lasciare il TFR in azienda; infatti, le aziende con più di 50 dipendenti non hanno la disponibilità fisica del TFR dei propri dipendenti: le somme sono gestire dal fondo di tesoreria dell’INPS.

Analizziamo ora il caso del TFR destinato ad un fondo pensione (scelta irreversibile).
Il lavoratore deve decidere tra tre tipologie di destinazione:

– fondi pensione di categoria: sottoscrivibili con adesione collettiva
– fondi pensioni aperti: sottoscrivibili sempre con adesione individuale e, nel caso sia presente un accordo che lo preveda, anche con adesione collettiva
– piani individuali pensionistici: sottoscrivili solo mediante adesione individuale

I fondi pensione a cui è possibile aderire con adesione collettiva hanno come caratteristica la possibilità che sia riconosciuto un ulteriore contributo da parte dell’azienda, oltre alla quota di TFR.

Per quanto riguarda il rendimento del TFR versato nel fondo pensione, non c’è una remunerazione fissata dalla legge: infatti, la performance dipende dal profilo di rischio scelto e dall’andamento dei mercati finanziari.

Il TFR nella previdenza complementare ha la seguente fiscalità:
– sui rendimenti maturati: tassazione al 20%
– sul capitale versato: a scadenza, TFR tassato con un’aliquota variabile (massimo 15%, con una riduzione dello 0,3% per ogni anno successivo al quindicesimo, fino ad un minimo di 9% dopo 35 anni di adesione).

La questione anticipazioni del TFR destinato ad una forma di previdenza complementare è la seguente:
– è possibile richiedere il 75% massimo, in qualsiasi momento, per motivi di salute (tassazione del 15% o meno, come indicato per il TFR a scadenza);
– si può chiedere il 75% massimo, ma dopo almeno 8 anni dalla prima adesione, per acquisto o ristrutturazione della prima casa per sé o per i figli (tassazione al 23%);
– anticipazione per altri motivi, richiedibile dopo almeno 8 anni dalla prima adesione e fino al 30% della posizione (tassazione al 23%).

Nel complesso, quindi, la destinazione del proprio TFR è una tematica davvero importante e la scelta di destinarlo ad una forma di previdenza integrativa è vantaggiosa sia per il lavoratore che per il datore di lavoro.

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