Considerazioni conclusive e prime avvisaglie di un 2020 stazionario

Già nel 2018 la ripresa dell’economia italiana aveva subìto un rallentamento, sebbene il tasso di crescita annuale fosse pari allo 0,8%; il PIL si era infatti lievemente contratto nella seconda parte dell’anno a causa di un evidente rallentamento dei consumi interni e delle esportazioni, peraltro in un contesto in cui il commercio mondiale fletteva e le imprese tagliavano le scorte. La modesta crescita che sembra aver registrato il PIL negli ultimi mesi sarebbe l’effetto di una crescita lenta della domanda interna e di un contributo netto positivo del commercio internazionale.

Similmente, la tendenza degli indicatori economici europei e mondiali è di segno negativo: il deterioramento della fiducia delle imprese che si è manifestato da inizio 2018 era inizialmente limitato all’industria manifatturiera, il settore più colpito dai cambiamenti nella politica commerciale degli Stati Uniti, ma recentemente si è anche manifestato un indebolimento del settore dei servizi nella maggior parte delle economie avanzate.

Il dibattito si è quindi gradualmente spostato verso la politica di bilancio, in particolare in Europa, dove in primis la BCE ha sollecitato i governi con bilanci in avanzo ad attuare politiche fiscali espansive (ovvero ad aumentare la spesa pubblica e a ridurre le imposte).

A ben vedere però, di politiche fiscali espansive per il prossimo anno non se ne vedono: negli USA Trump, Pelosi e Schumer hanno raggiunto un accordo per mantenere il disavanzo al 5%, senza variazioni, e quindi senza mosse preelettorali con cui comprare consenso. Anche in Europa non cambierà molto, soprattutto perché la Germania (unico paese in surplus) manterrà un atteggiamento reattivo e poco stimolante, quantomeno finché non verrà chiaramente accertata l’imminenza di una inevitabile recessione, di cui già alcuni esperti parlano.

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