“Giapponesizzazione” dell’Europa, possibile soluzione della BCE?

L’Europa verso una “giapponesizzazione” dell’economia? Cosa si intende con tale termine? Dopo lo scoppio della bolla di inizio anni ’90, il Giappone affronta da ormai vent’anni un periodo di vulnerabilità che ha portato alla definizione di un andamento caratterizzato essenzialmente da quattro elementi: deflazione moderata, crescita lenta della produttività, domanda contenuta e tassi di interesse molto bassi nonostante l’incremento del debito pubblico.

Alla base della fase decadente nipponica si colloca anche una struttura demografica in progressiva diminuzione: secondo i più recenti dati, un giapponese su tre ha oggi più di 65 anni. Proprio quest’ultimo fattore consente peraltro di assimilare specificatamente la situazione italiana, in misura maggiore rispetto agli altri Stati europei, a quella giapponese.

Ebbene, ad avviso dei mercati sta succedendo proprio questo anche in Europa, che ormai da qualche tempo presenta sempre più una crescita pari allo zero. Nell’ultima riunione tenutasi a Sintra, Draghi ha infatti annunciato una nuova fase espansiva da parte della BCE per ridare spinta ad un’economia costantemente in stallo, una sorta di quantitative easing fase due. Per quanto attiene i mercati, il risultato di queste dichiarazioni è stato un immediato rialzo dell’azionario ed un’ennesima battuta d’arresto per l’obbligazionario, ad oggi anche i Bund tedeschi su scadenza decennale (la maggioranza) presentano segno negativo.

Ai nostri fini ritengo sempre fondamentale organizzare una gestione attiva sia sulle obbligazioni che sulle azioni, con particolare attenzione ai Megatrend di cui già in precedenza ho parlato. Nei prossimi 12-18 mesi si assisterà infatti a interessanti scenari, a partire dalla successione di Draghi a novembre sino alle successive elezioni Americane, e in tale contesto evolutivo sarà fondamentale una buona asset allocation, capace di sfruttare le opportunità e resistere ai momenti di volatilità.

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